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« Torna agli articoli di Luca Miele
Chi tocca la legge antiblasfemia muore. Chi osa difendere i cristiani – indifesi come Asia Bibi, la donna condannata a morte con l'accusa pretestuosa di aver offeso il profeta Maometto – in un Paese sempre più esposto al rigurgito fondamentalista, finisce crivellato dai colpi. È accaduto il 4 gennaio a Islamabad, quando a cadere fu Salman Taseer, il governatore del Punjab. È accaduto ancora ieri e ancora a Islamabad. Sotto i colpi dei fondamentalisti è finito il ministro pachistano per gli Affari delle minoranze Shahbaz Bhatti, l'uomo che da tempo si batteva strenuamente per la libertà religiosa, il politico da poco riconfermato nel governo guidato dal premier Gilani ma lasciato da solo a combattere la sua battaglia per la libertà religiosa. E consapevole che la sua sorte era già segnata. In un'intervista dello scorso 14 febbraio a TV2000, aveva detto di aver ricevuto minacce di morte da parte degli integralisti per le sue parole sulla legge antiblasfemia. «Il mio impegno resta lo stesso per la causa della libertà religiosa, in difesa delle aspirazioni dei cristiani e delle altre minoranze, per combattere contro gli abusi della legge sulla blasfemia, per ottenere giustizia per Asia Bibi», aveva assicurato.
L'auto di Bhatti, 43 anni, unico ministro cristiano designato dal presidente Asif Ali Zardari, è stata raggiunta da almeno 20 proiettili. Inutili gli sforzi dei medici per salvargli la vita. Il capo della polizia della capitale, Wajid Durrani, ha fatto sapere che il commando era formato «da tre o quattro persone avvolte in scialli che a bordo di un veicolo bianco hanno intercettato l'auto di servizio del ministro». Il ministro era appena uscito dall'abitazione di sua madre. Viaggiava con l'auto di servizio. Non blindata. E senza scorta. La polizia ha però respinto le accuse di «buchi» nella sicurezza del ministro. Sul posto dell'omicidio sono stati rinvenuti volantini firmati dal Tehrik-i-Taliban Punjab, coalizione di movimenti collegati con i taleban afghani.
Immediata anche la rivendicazione. Sajjad Mohmand, uno dei portavoce dei taleban, con una telefonata alla stampa si è attribuito la "paternità" dell'omicidio con il quale si è voluto «punire un ministro blasfemo». Chi ha agito lo ha fatto a colpo sicuro. Come ha scritto Syed Saleem Shahzad su AsiaTimes, l'omicidio è stato attentamente pianificato. I militanti conoscevano la zona, conoscevano i movimenti del ministro, hanno seminato la zona di opuscoli pubblicati in anticipo. E sono riusciti a entrare e uscire indisturbati da quella che dovrebbe essere una zona di massima sorveglianza della capitale. Smascherando la fragilità (voluta?) degli apparati di sicurezza pachistani. «I taleban hanno dimostrato ancora una volta di poter colpire qualsiasi bersaglio. In qualunque momento».
Tutti sapevano in Pakistan che Shahbaz Bhatti era nel mirino dei fondamentalisti. Il ministro aveva "collezionato" una serie di minacce. L'ultima – resa nota dallo stesso politico – era arrivata solo il mese scorso: «I taleban hanno detto che mi decapiteranno e che mi sarà riservato lo stesso trattamento toccato al governatore Taseer». Secondo Nelson Azeem, uno dei due cristiani che ancora siedono nel Parlamento pachistano, «Bhatti aveva denunciato la sua mancanza di sicurezza con molti colleghi parlamentari. Ha fatto conoscere queste preoccupazioni al primo ministro e al presidente, ma non hanno fatto nulla a riguardo». (...)
ECCO IL TESTAMENTO
"La mia battaglia continuerà, nonostante le difficoltà e le minacce che ho ricevuto. Il mio unico scopo è difendere i diritti fondamentali, la libertà religiosa e la vita stessa dei cristiani e delle altre minoranze religiose. Sono pronto a ogni sacrificio per questa missione, che assolvo con lo spirito di un servo di Dio. Ora vi è ancora molto lavoro da fare, dobbiamo affrontare sfide molto serie come quella sulla blasfemia. Cercherò di testimoniare, nel mio impegno, la fede in Gesù Cristo"
Shahbaz Bhatti, 12 febbraio 2011
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